 
                         tanta fatica “mediatrice”: si salva l’azienda, si distruggono le famiglie. E non vale il diritto di prelazione che dovrebbe avere l’azienda nei confronti della famiglia, sacrificando le relazioni sull’altare del denaro.Ma vale anche il contrario: talvolta, per mantenere il quieto vivere e il “vogliamoci bene”, si gettano al vento anni di investimenti, di sacrifici, di lavoro perché, di fronte alla necessità di fare precise scelte, per non favorire qualcuno sacrificando qualcun altro, si manda l’azienda a quel paese. E qui sta il difficile, talvolta l’impossibile. Provare a salvare entrambe: l’azienda e la famiglia.Ricordo bene, quasi 40 anni fa, quando lavorando come dipendente all’interno di aziende famigliari assistevo alle azioni impotenti di commercialisti, avvocati, notai e, in genere, professionisti, chiamati a utilizzare strumenti sperimentati, norme di legge, numeri, valutazioni, perizie, che si “schiantavano” addosso a conflitti fra padri e figli, sorelle e cugini, zii e nipoti che si sentivano privati dei loro diritti o delusi nelle loro aspettative. E la “consegna” per tutti loro è sempre stata “stanne fuori”, non farti coinvolgere dai casini delle famiglie. Per molto tempo, e ancora oggi, per molti di loro è così: non erano preparati a questo tipo di situazioni, non avevano neppure affrontato questo tipo di problemi nei loro percorsi di studio accademici. In questi giorni sto frequentando un percorso formativo con molti avvocati che chiedono di avere maggiore formazione nell’arte e nella scienza della mediazione, consapevoli che queste abilità non si imparano nei percorsi accademici e che, per essere efficaci nella gestione dei conflitti, bisogna lavorare innanzitutto su sé stessi. Bravi, tutto il mio rispetto.Sull’altra sponda vedevo gli psicologi, psicoterapeuti, mediatori della famiglia, consulenti nell’ambito delle relazioni umane, dai preti ai filosofi ai professori, che, bravissimi nella gestione dei conflitti e a creare percorsi di pacificazione, di fronte ad un bilancio, ad un conto economico o a un piano industriale, fuggivano. Non era, e non è, nelle loro “corde”: anche qui non faceva parte del loro percorso di studi.La conseguenza, inevitabile, è che, per affrontare le problematiche delle aziende famigliari, è necessario un approccio multidisciplinare e di conseguenza un gruppo di lavoro collaborativo e che segua un Metodo di lavoro condiviso.
 tanta fatica “mediatrice”: si salva l’azienda, si distruggono le famiglie. E non vale il diritto di prelazione che dovrebbe avere l’azienda nei confronti della famiglia, sacrificando le relazioni sull’altare del denaro.Ma vale anche il contrario: talvolta, per mantenere il quieto vivere e il “vogliamoci bene”, si gettano al vento anni di investimenti, di sacrifici, di lavoro perché, di fronte alla necessità di fare precise scelte, per non favorire qualcuno sacrificando qualcun altro, si manda l’azienda a quel paese. E qui sta il difficile, talvolta l’impossibile. Provare a salvare entrambe: l’azienda e la famiglia.Ricordo bene, quasi 40 anni fa, quando lavorando come dipendente all’interno di aziende famigliari assistevo alle azioni impotenti di commercialisti, avvocati, notai e, in genere, professionisti, chiamati a utilizzare strumenti sperimentati, norme di legge, numeri, valutazioni, perizie, che si “schiantavano” addosso a conflitti fra padri e figli, sorelle e cugini, zii e nipoti che si sentivano privati dei loro diritti o delusi nelle loro aspettative. E la “consegna” per tutti loro è sempre stata “stanne fuori”, non farti coinvolgere dai casini delle famiglie. Per molto tempo, e ancora oggi, per molti di loro è così: non erano preparati a questo tipo di situazioni, non avevano neppure affrontato questo tipo di problemi nei loro percorsi di studio accademici. In questi giorni sto frequentando un percorso formativo con molti avvocati che chiedono di avere maggiore formazione nell’arte e nella scienza della mediazione, consapevoli che queste abilità non si imparano nei percorsi accademici e che, per essere efficaci nella gestione dei conflitti, bisogna lavorare innanzitutto su sé stessi. Bravi, tutto il mio rispetto.Sull’altra sponda vedevo gli psicologi, psicoterapeuti, mediatori della famiglia, consulenti nell’ambito delle relazioni umane, dai preti ai filosofi ai professori, che, bravissimi nella gestione dei conflitti e a creare percorsi di pacificazione, di fronte ad un bilancio, ad un conto economico o a un piano industriale, fuggivano. Non era, e non è, nelle loro “corde”: anche qui non faceva parte del loro percorso di studi.La conseguenza, inevitabile, è che, per affrontare le problematiche delle aziende famigliari, è necessario un approccio multidisciplinare e di conseguenza un gruppo di lavoro collaborativo e che segua un Metodo di lavoro condiviso. 
                                    