 
                         organizzazione prevedrebbe di fatto la possibilità di isolare il singolo nucleo, essendo così efficace anche nei confronti della diffusione delle infezioni. “Se dovessi avanzare una proposta progettuale, sarebbe interessante prevedere solo camere singole, eventualmente dimensionabili a doppie in caso di emergenze non infettive”.L’emergenza Covid-19 ci ha mostrato uno dei più grandi limiti di molti dei nostri Ospedali, la capacità di adattamento in incremento in base alle richieste di ricoveri. Nonostante gli Ospedali abbiano complessivamente retto dal punto di vista strutturale, gli sforzi sono stati orientati per lo più a ricavare posti letto di degenza e di area critica in funzione dell’elevato numero di casi che approdavano presso i Dipartimenti di Emergenza-Urgenza.“Nell’ottica della flessibilità, un ospedale deve avere la possibilità di espandersi, sia in termini volumetrici che di posti letto. Per garantire ciò e per rispondere a un altro criterio fondamentale, ovvero l’accessibilità, la progettazione dei nuovi Ospedali deve prevedere una localizzazione strategica, quindi dovrà preferenzialmente localizzarsi nelle aree periferiche dei centri urbani.Anche le scelte degli elementi di arredo hanno risentito sensibilmente delle nuove necessità igienico sanitarie per contrastare la pandemia. Dovranno cambiare i materiali con cui gli elementi di arredo sono prodotti. L’impiego di materiali ad azione antibatterica, per esempio, potrebbe avere un impatto sulla capacità degli arredi di contrastare i depositi di microorganismi sulle proprie superfici, influendo anche sulla diffusione delle infezioni nosocomiali e impattando sulle giornate di degenza e, in ultima analisi, sui costi del ricovero.Ciò che non ha retto all’impatto devastante della pandemia non sono state le strutture ospedaliere in sé, ma il sistema nel suo complesso. “Ancor prima di ragionare sul SSR bisognerebbe ragionare sulla città resiliente alle pandemia perché la città stessa non ha un piano, l’Ospedale dovrebbe essere l’ultimo passaggio”.“Il Covid-19 ha spostato l’economia dal centro alla periferia delle città, e questo è un punto di forza della risposta a questa pandemia”. La rivalorizzazione delle periferie può essere quindi un momento per uno slancio progressivo e una proposta alla rivoluzione del sistema salute stesso. È infatti necessario ripensare il territorio, ma garantire il solo servizio sanitario o sociosanitario territoriale non sarebbe il modo migliore per farlo. Si parla infatti di “mixitè”, un concetto che si contrappone allo “zoning” ossia alla segregazione di funzioni diverse in aree urbane diverse. Oggi è infatti il concetto di rete a creare legami nuovi e trasversali nella crescita spazio-temporale della città. Secondo questo principio le attività vengono integrate per “convivere simultaneamente all’interno di una logica progettuale plurifunzionale in cui la relazione tra vita pubblica, sociale e lavorativa e quella privata acquistano nuove conformazioni, indipendenti dal luogo e legate piuttosto ai nuovi modi di usare lo spazio alla scala urbana o architettonica”.Autori: Gabriele Del Castillo, Francesca Grosso, Federico Lega, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano; Centro di Ricerca e Alta Formazione in Health Administration, Università degli Studi di Milano
 organizzazione prevedrebbe di fatto la possibilità di isolare il singolo nucleo, essendo così efficace anche nei confronti della diffusione delle infezioni. “Se dovessi avanzare una proposta progettuale, sarebbe interessante prevedere solo camere singole, eventualmente dimensionabili a doppie in caso di emergenze non infettive”.L’emergenza Covid-19 ci ha mostrato uno dei più grandi limiti di molti dei nostri Ospedali, la capacità di adattamento in incremento in base alle richieste di ricoveri. Nonostante gli Ospedali abbiano complessivamente retto dal punto di vista strutturale, gli sforzi sono stati orientati per lo più a ricavare posti letto di degenza e di area critica in funzione dell’elevato numero di casi che approdavano presso i Dipartimenti di Emergenza-Urgenza.“Nell’ottica della flessibilità, un ospedale deve avere la possibilità di espandersi, sia in termini volumetrici che di posti letto. Per garantire ciò e per rispondere a un altro criterio fondamentale, ovvero l’accessibilità, la progettazione dei nuovi Ospedali deve prevedere una localizzazione strategica, quindi dovrà preferenzialmente localizzarsi nelle aree periferiche dei centri urbani.Anche le scelte degli elementi di arredo hanno risentito sensibilmente delle nuove necessità igienico sanitarie per contrastare la pandemia. Dovranno cambiare i materiali con cui gli elementi di arredo sono prodotti. L’impiego di materiali ad azione antibatterica, per esempio, potrebbe avere un impatto sulla capacità degli arredi di contrastare i depositi di microorganismi sulle proprie superfici, influendo anche sulla diffusione delle infezioni nosocomiali e impattando sulle giornate di degenza e, in ultima analisi, sui costi del ricovero.Ciò che non ha retto all’impatto devastante della pandemia non sono state le strutture ospedaliere in sé, ma il sistema nel suo complesso. “Ancor prima di ragionare sul SSR bisognerebbe ragionare sulla città resiliente alle pandemia perché la città stessa non ha un piano, l’Ospedale dovrebbe essere l’ultimo passaggio”.“Il Covid-19 ha spostato l’economia dal centro alla periferia delle città, e questo è un punto di forza della risposta a questa pandemia”. La rivalorizzazione delle periferie può essere quindi un momento per uno slancio progressivo e una proposta alla rivoluzione del sistema salute stesso. È infatti necessario ripensare il territorio, ma garantire il solo servizio sanitario o sociosanitario territoriale non sarebbe il modo migliore per farlo. Si parla infatti di “mixitè”, un concetto che si contrappone allo “zoning” ossia alla segregazione di funzioni diverse in aree urbane diverse. Oggi è infatti il concetto di rete a creare legami nuovi e trasversali nella crescita spazio-temporale della città. Secondo questo principio le attività vengono integrate per “convivere simultaneamente all’interno di una logica progettuale plurifunzionale in cui la relazione tra vita pubblica, sociale e lavorativa e quella privata acquistano nuove conformazioni, indipendenti dal luogo e legate piuttosto ai nuovi modi di usare lo spazio alla scala urbana o architettonica”.Autori: Gabriele Del Castillo, Francesca Grosso, Federico Lega, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano; Centro di Ricerca e Alta Formazione in Health Administration, Università degli Studi di Milano 
                                    